C’è stato un momento, non troppo lontano, in cui ho cercato negli altri quello che solo io potevo darmi.
Allenavo il corpo, cercavo di dare il massimo a ogni lezione, con una fame di crescita che bruciava dentro. Speravo che qualcuno si accorgesse di me, che arrivasse quel gesto, quella parola, quel riconoscimento capace di riempire un vuoto che nemmeno sapevo di avere.
Ma quando vivi aspettandoti qualcosa dall’esterno, spesso ti ritrovi deluso.
Al posto di quel conforto che desideravo, ho trovato silenzi. Assenze. A volte persino indifferenza.
E in quei momenti di vuoto, mi sono sentito solo. Non nel corpo – ero circondato da persone – ma nell’anima.
Ed è lì che ho compreso una verità tanto semplice quanto difficile da accettare:
nessuno può darti ciò che non riesci a dare a te stesso.
Così, lentamente, senza proclami, ho cambiato rotta.
Ho smesso di guardare fuori.
Ho iniziato ad allenarmi per me.
Per rispetto verso il mio cammino. Per amore verso ciò che sono e verso ciò che posso diventare.
Ogni allenamento è diventato una meditazione in movimento.
Ogni forma, un’esplorazione delle mie paure e dei miei limiti.
Ogni caduta, un’opportunità per rialzarmi con più consapevolezza.
Sul tatami, ho smesso di fingere.
Non avevo più bisogno di apparire forte.
Avevo bisogno di essere vero.
E qualcosa, dentro di me, si è sbloccato.
Ho iniziato a vivere davvero.
A sentire che quel percorso non era fatto per dimostrare, ma per scoprire.
Per ricordarmi chi sono.
Ogni giorno.
Ogni volta che allaccio la cintura, ogni volta che chiudo gli occhi e respiro prima di iniziare.
Non ho mai smesso di essere allievo.
E non smetterò mai.
Anche quando guido altri, anche quando condivido ciò che so, mi ricordo che c’è sempre qualcosa da imparare.
Che ogni persona, ogni gesto, ogni situazione – persino le più dolorose – sono maestri travestiti.
L’umiltà è diventata il centro del mio percorso.
Non per sembrare umile agli occhi degli altri, ma per riconoscere, dentro di me, che non sono mai arrivato.
E che non voglio arrivare.
Voglio camminare.
Voglio scoprire.
Voglio stupirmi.
Con il tempo, ho anche imparato un’altra lezione importante:
non bisogna cercare la pace come se fosse un traguardo lontano.
La vita non è fatta per essere “in pace” nel senso statico del termine.
La vita è come camminare su un filo sospeso nel vuoto.
Ogni giorno, forze invisibili ci spingono, ci tirano, ci fanno vacillare.
E la vera pace nasce proprio da lì: dall’equilibrio che impariamo a mantenere mentre tutto intorno si muove.
Un equilibrio interiore che non nasce dalla quiete, ma dalla nostra capacità di restare centrati nel mezzo della tempesta.
Una frase di Bruce Lee mi ha sempre accompagnato in questo cammino, come un mantra nei momenti difficili:
“Non chiedere una vita più facile, allenati per essere una persona più forte.”
E questo è ciò che faccio.
Ogni giorno.
Con costanza.
Con passione.
Con amore.
Perché il Kung Fu non è solo combattere.